Hideo Kojima è uno degli autori che più hanno avuto impatto nell’industria videoludica: l’uscita di Metal Gear Solid nel 1998 rappresentò una concreta rivoluzione del modo di concepire il videogioco, poiché la narrativa brillante e cinematica dell’opera accompagnata dall’interazione del gioco stesso con il giocatore resero Metal Gear Solid qualcosa di mai visto prima nel medium, che riuscì a far appassionare milioni di giocatori in tutto il mondo.
Con l’uscita nel 2019 del divisivo primo prodotto della sua prima IP post-rottura con Konami, Death Stranding, l’autore è riuscito a sublimare il concetto di narrazione transmediale, in quanto nell’opera convergono più media, tra di loro amalgamati al fine di rendere l’esperienza quanto più entusiasmante e profonda possibile: alle lunghe sequenze cinematiche (soprattutto nel finale) si affiancheranno sezioni di gameplay nelle quali, durante le lunghe camminate che si esperiranno con Sam, partiranno brani scelti dall’autore (su periferiche Sony è vietato l’utilizzo di Spotify mentre il gioco è in riproduzione), i quali restituiscono al giocatore momenti a dir poco evocativi. La presenza di decine e decine di documenti scritti garantirà inoltre un ulteriore approfondimento (a tratti fondamentale), ai fini della comprensione del mondo di gioco nella sua interezza.
Death Stranding riesce quindi a integrare in sé stesso ed in modo etereo: cinema, videogioco, musica e letteratura, rendendolo a conti fatti una delle esperienze meglio stratificate della storia del medium. Chissà cosa riuscirà a proporre Kojima ed il suo studio di sviluppo con l’attesissimo DS2, il quale potrebbe riuscire nell’impresa di alzare ulteriormente l’asticella qualitativa del videogioco come arte transmediale.
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